Stabilire a chi verranno affidati i figli dopo una separazione rappresenta una delle decisioni più delicate nell’ambito del diritto di famiglia. Non si tratta solo di definire con chi vivranno i minori, ma di garantire la continuità della loro cura, educazione e affetto nel rispetto dei diritti sanciti dalla legge e tutelati dal giudice.
Cosa prevede la legge italiana sull’affidamento dei figli in caso di separazione
Come spiegano i legali di consulenzadivorzio.it, nel diritto italiano, l’affidamento dei figli in caso di separazione è disciplinato principalmente dalla Legge 8 febbraio 2006, n. 54, che ha riformato profondamente la materia, introducendo il principio di bigenitorialità. La riforma ha modificato e integrato il Codice Civile, in particolare con gli articoli 337-bis e seguenti, che si applicano sia nei casi di separazione personale dei coniugi sia in quelli di scioglimento o cessazione degli effetti civili del matrimonio, oltre che nei casi di genitori non coniugati.
Secondo l’art. 337-ter c.c., il figlio minore ha diritto a mantenere un rapporto continuativo con entrambi i genitori, a ricevere cura, educazione, istruzione e assistenza morale da entrambi e a conservare rapporti significativi con gli ascendenti e con i parenti di ciascun ramo genitoriale.
Il giudice, investito della controversia, può decidere sull’affidamento anche in assenza di accordo tra le parti. Se i genitori raggiungono un’intesa, il tribunale può omologarla purché rispetti l’interesse del minore. In mancanza di accordo, si apre una procedura giudiziale nella quale il tribunale valuta le condizioni di ciascun genitore, eventualmente acquisendo elementi tramite consulenze tecniche, servizi sociali e ascolto del minore.
L’obiettivo primario è la tutela dell’interesse superiore del minore, principio cardine di tutta la materia familiare, sancito anche dall’art. 3 della Convenzione ONU sui diritti del fanciullo (ratificata dall’Italia con la Legge n. 176/1991).
Le forme di affidamento previste dalla legge: condiviso, esclusivo e casi particolari
La forma ordinaria di affidamento prevista dall’ordinamento è l’affidamento condiviso, introdotto con la riforma del 2006 come regola generale. In questa configurazione, entrambi i genitori mantengono la responsabilità genitoriale, anche se il minore è collocato prevalentemente presso uno dei due. Le decisioni di maggiore interesse per il figlio – come la salute, l’educazione, la residenza e la religione – devono essere assunte congiuntamente, come previsto dal secondo comma dell’art. 337-ter c.c.
Tuttavia, qualora l’affidamento condiviso risulti pregiudizievole per il benessere del minore, ad esempio in presenza di gravi conflittualità, violenze, dipendenze o disinteresse di un genitore, il giudice può disporre l’affidamento esclusivo all’altro genitore. Tale misura, regolata dal terzo comma dello stesso articolo, deve essere specificamente motivata e non comporta automaticamente la decadenza dalla responsabilità genitoriale del genitore escluso, salvo diverse disposizioni.
Esistono inoltre forme residuali o atipiche di affidamento:
- L’affidamento alternato, in cui il minore trascorre periodi equivalenti con ciascun genitore. Viene adottato raramente per via della sua complessità organizzativa.
- L’affidamento a terzi, previsto dall’art. 333 c.c., nei casi in cui entrambi i genitori siano ritenuti inidonei o pericolosi per il benessere del minore. Il tribunale può affidare il figlio ad un parente o a una struttura di accoglienza, sempre sotto vigilanza giudiziaria.
- L’affidamento super-esclusivo, di fatto non tipizzato, in cui il genitore affidatario assume tutte le decisioni rilevanti in modo unilaterale, limitando fortemente il coinvolgimento dell’altro genitore. Questa ipotesi si configura solo in presenza di situazioni particolarmente gravi.
Il giudice, infine, stabilisce anche il collocamento prevalente del minore, determinando presso quale genitore il figlio risiederà abitualmente. Da questa scelta derivano spesso altre decisioni accessorie, come l’assegnazione della casa familiare (art. 337-sexies c.c.) e le modalità di mantenimento del figlio.
Interesse superiore del minore e centralità del suo ascolto nelle decisioni
L’interesse superiore del minore rappresenta il criterio guida di tutte le decisioni in materia di affidamento, secondo quanto stabilito dal diritto interno e da fonti sovranazionali come la Convenzione europea sui diritti del fanciullo (Strasburgo, 1996) e la già citata Convenzione ONU.
In virtù dell’art. 336-bis c.c., il minore che abbia compiuto dodici anni è sempre ascoltato nel procedimento; anche i minori di età inferiore devono essere sentiti se capaci di discernimento. Il giudice può decidere di ascoltarli personalmente o delegare tale compito a esperti (psicologi, assistenti sociali).
Il parere espresso dal minore non è vincolante, ma può influenzare sensibilmente le decisioni in merito all’affidamento, al collocamento e alla regolamentazione dei tempi di frequentazione. In alcuni casi, la volontà del minore, specie se adolescente, può risultare determinante per il giudice, soprattutto se coerente e motivata.
La centralità del minore nel processo di separazione dei genitori rappresenta oggi uno dei fondamenti dell’approccio giuridico italiano, che cerca sempre più di coniugare la tutela legale con un ascolto empatico e concreto dei bisogni dei figli. In questo senso, l’evoluzione giurisprudenziale ha spesso anticipato o rafforzato i principi già espressi dal legislatore, contribuendo a una visione sempre più orientata alla persona del minore, e non solo al conflitto tra genitori.